Mi manca l’acqua. Mi manca il mare. Mi mancano quei momenti di assoluto abbandono e di mente totalmente vuota.
L’acqua è il mio elemento naturale, quello in cui riesco a rilassarmi e sorridere. Il silenzio è il secondo elemento che, nella vita di tutti i giorni, viene a soccombere in maniera importante. Non sono mai stata una sportiva, tutt’altro, ma qualche bella pedalata in bicicletta – lontana dal traffico – l’ho sempre fatta volentieri, anche le camminate in montagna. Nonostante la pigrizia e il peso in eccesso, se mi metto in movimento riesco ad ottenere dei buoni risultati. Quando sono al mare, avendo anche la piscina a disposizione, passo ore e ore a nuotare e fare ginnastica in acqua. Quest’anno in particolare, visto il caldo opprimente, stavo in “ammollo” circa 8/10 ore al giorno e, ho fatto una scoperta.
Sapete come si fa “il morto”? Ci si sdraia sull’acqua, come se fosse un letto, si aprono le braccia per mantenere l’equilibrio e non andare a fondo e, si rimane – più o meno – immobili. Di fatto ci si muove, perchè in piscina dopo qualche minuto mi ritrovo sempre dalla parte opposta. La parte migliore di tutto ciò, oltre ad abbronzarsi tanto senza sudare, è il mantenere le orecchie sott’acqua. Il mondo diventa ovattato, non ci sono rumori, nessun frastuono. In quel momento, ho vissuto attimi di totale rilassatezza. Quasi una specie di trance. Ecco, questo sentire e questo silenzio, mi mancano al punto da non dormirci la notte.
Che si arrivi ad un momento nella vita, in cui abbiamo bisogno di sola pace e tranquillità? Si cambia, questo è certo. Me ne rendo conto dalla mia totale intolleranza verso il caos del quotidiano, le passeggiate alla sera nelle località di mare – che pare di essere in Duomo la Vigilia di Natale – la voglia di silenzio e di leggere libri anzichè stare al computer. Potrebbe essere un cambiamento epocale, ancora non lo so. A quasi 50 anni, con l’ormone che perde i pezzi e ti fa sentire “diversa”, che proprio l’introspezione sia la nuova frontiera?
Me ne accorgo soprattutto quando tento di scrivere: il desiderio di tornare, di dedicarmi al blog come facevo tempo fa, è un sentimento che dura davvero troppo poco. Non è scontento o malavoglia. Probabilmente, anzi, certamente, ci sono dei periodi talmente affollati di lavoro, pensieri e vita, che tutto ciò che è extra, viene lasciato momentaneamente in disparte. Senza cattiveria o premeditazione. Dando uno sguardo nell’archivio, di materiale da pubblicare ne avrei. Anche parecchio. E’ solo che mi costa una fatica infinita applicarmi e trovare le parole da scrivere. Al momento, mi sento “in pausa”. E’ come se avessi terminato quella quantità di pensieri che volevo tanto scrivere. E quelli che ho, sono talmente intimi, che non verranno mai messi “nero su bianco”. Certo che il mio lavoro non aiuta. In quel caso, sono condizionata dalla necessità di consegnare ricette, foto, testi e via discorrendo. Forse sto vivendo una sorta di – mal celata – ribellione in corso. D’altro canto, ci starebbe, sono sempre stata una ribelle.
In realtà. l’unica cosa che vorrei fare ora, è rimanere sulla terrazza della casa dei miei e continuare a fotografare, senza interruzioni, i notturni vista Lerici. Che ogni notte sono differenti, con mille sfumature e altrettanti profumi nell’aria. E la sfida con me stessa per fare ogni volta una foto migliore, mi diverte parecchio.
Leggevo su D Repubblica, un’articolo molto interessante. Già il titolo è una garanzia: “Le pause? Nella vita sono fondamentali”
Ve lo copioincollo per comodità:
Riempire ogni momento senza prendersi mai delle pause. Una tendenza che riguarda tutte le età e che spesso ha a che fare con la paura di rimanere soli con i propri pensieri ed emozioni. Eppure la capacità di fermarsi, di concedersi uno spazio di tempo tra periodi o situazioni della vita è fondamentale per dare nuovo senso alla propria esistenza e accordarsi con il proprio ritmo interiore
Silenzio, riposo, vuoto. Il niente all’interno di un brano, di una melodia, di un pezzo, di un periodo. Una pausa temporanea che serve a dare senso al resto, indispensabile per reggere il discorso musicale. Una sospensione che sta dentro il brano, non lo interrompe. Ne fa parte. Un vuoto vitale. Senza, la struttura del pezzo crolla. Se trascurato, l’esecuzione risulta insicura, nervosa. Non credibile. Non dice più molto. Anche il linguaggio funziona così. Mettiamo virgole, punti, andiamo a capo. Voltiamo pagina. Prendiamo fiato, introduciamo silenzi.
Nello stesso modo abbiamo bisogno di individuare le nostre pause, di inserire spazi tra momenti, periodi, situazioni della nostra vita. Di prevedere fermate senza le quali precipitiamo nel caos e ci confondiamo, rischiando di mettere le cose una sull’altra, non distinguendole, non capendo cosa si prova. Facendoci travolgere dagli eventi. Prendersi delle pause, invece, tra un periodo e l’altro, una cosa e l’altra, ci accorda con il nostro ritmo. Le situazioni, i momenti continuamente agganciati non funzionano. Occorre il vuoto per una successione piena. Paradossalmente, c’è bisogno di interrompere per dare continuità, di distaccare per legare.Le pause vanno però interpretate. Nella scrittura musicale hanno funzioni diverse, per far funzionare il ritmo o prolungare l’esecuzione di una nota. Per separare due tempi. Ma ci sono anche pause a piacere. La corona, o più propriamente punto coronato, è un segno utilizzato per aumentare il valore di una nota o di una pausa a piacere dell’esecutore. Pause interpretative, senza rigore e precisione, la cui durata può essere prolungata indefinitamente. Sono queste a cui ispirarsi per interpretare la nostra esistenza. Momenti di uscita dal pentagramma, dalle abitudini, metriche, simboli e chiavi ci consentono di “stare sulle cose”, riflettere, ascoltare ciò che sentiamo e vogliamo. Elaborare ciò che è successo. Dare ascolto alla musica che viene da dentro. Secondo il primo assioma della comunicazione umana definito da un gruppo di studiosi della Scuola di Palo Alto (Pragmatica della comunicazione umana di Paul Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, edizioni Astrolabio), è impossibile non comunicare. Anche il silenzio e l’inattività hanno valore di messaggio. In effetti riposo e intervalli ma anche vuoto e noia possono diventare passaggi evolutivi, varchi nella nostra vita profonda. Fare una pausa significa mettersi di fronte se stessi, entrare in contatto con i nostri motivi sotterranei, spesso trascurati e insoddisfatti. Molte volte rimaniamo in una vita chiassosa per sfuggirvi. Ci distraiamo, fatichiamo per stare dietro alle cose, chiuderle, risolverle, raggiungerle. E lasciamo in silenzio le nostre vere esigenze. Le pause a cui pensare non si riferiscono a ore di sonno o di svago. Sono tempi “fuori da”, senza obiettivi, senza orologio. Momenti di sospensione, di inerzia per rimanere su ciò che viene da dentro. Ascoltare il movimento interiore, mai veramente silenzioso.
“4’33″ (Quattro minuti e trentatré secondi) è una composizione in tre movimenti dell’artista sperimentale americano John Cage composta nel 1952 per qualunque strumento musicale. Lo spartito dà istruzione all’esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti, in totale 4 minuti e 33 secondi, il titolo dell’opera. Per l’autore non si tratta di un’opera silenziosa, però l’attenzione si dovrebbe spostare sui rumori casuali che si sentono durante l’assenza di musica, ai quali difficilmente ci rivolgiamo. Un invito provocatorio a sintonizzarsi con l’ambiente circostante, a rivalutare intensità e multiformità del silenzio. Ma ci sono altri significati. Come quello di soffermarsi su se stessi, uno dei compiti più difficili al quale sfuggiamo continuamente. Risulta imbarazzante stare sul nulla per questo tendiamo a metterci sopra sempre qualcosa, a riempirlo con parole, cose, movimento. Avere a che fare con noi stessi può essere molto difficile. Anche recenti studi lo dimostrano: la paura di rimanere soli con i propri pensieri ed emozioni riguarda tutte le età. Si tende a essere ipervigili con il mondo esterno, a ricercare intrattenimento con la tecnologia, ad esempio, per sfuggire se stessi.
Le pause, così come funzionano nella musica, ci concedono opportunità preziose per dare senso, ritmo e intensità a movimenti e attività. E allargare così la nostra essenza.
Trovo che questo articolo sia particolarmente azzeccato, per me, per ciò che vivo, per ciò che vedo e sento intorno. E più lo rileggo, più penso che le “pause”, possano solo portare a nuove evoluzioni. Non è necessario stare sempre sulla cresta dell’onda. In questo mondo, potrei dire che non è necessario il presenzialismo a tutti i costi, ma non voglio essere polemica. Solo che curiosando in Instagram, FB e social vari, mi sono scoperta a sorridere delle peripezie che alcune “colleghe” fanno per essere “ovunque” .
Posso darvi un consiglio non richiesto? Invertite la rotta e soffermatevi su voi stesse. C’è molto da imparare, specialmente, che non si vive di sola apparizione, ma che sotto sotto, c’è un’esistenza che ha bisogno – e merita – di essere vissuta con grande umiltà.
Buona settimana.
Condivido tutto quello che hai scritto! anche io molte volte ho bisogno proprio di silenzio, di solitudine, di staccare da tutto e tutti e stare un pochino con me stessa.. non possiamo sempre avere la testa piena, ogni tanto serve mettersi in una bolla o, come hai detto tu, con le orecchie ovattate sotto il filo dell’acqua. che goduria!
Ciao Erika, ti ringrazio per la comprensione. E’ bello sapere che non sono l’unica che sente il bisogno di staccare dal mondo e rifugiarsi nel relax assoluto :) Buona giornata!