Da lombarda DOC, e ottobrina (ergo: l’autunno e i suoi sapori mi piacciono) amo i piatti intensi delle nostre montagne, i pizzoccheri ad esempio, sono nella top ten dei miei comfort food. Generalmente non faccio i pizzoccheri a mano, sono poco esperta nell’arte dell’impasto, di regola li compero freschi quando vado in Valtellina o, come in questo caso, li acquisto secchi se trovo un ottimo produttore. Ho conosciuto Molino Filippini durante lo scorso Tutto Food. Mi ha colpito sia per la grande attenzione che per la varietà dei prodotti. Ne ho provati alcuni e ammetto di averli trovati tutti ottimi: dai pizzoccheri – naturalmente – al grano saraceno in chicchi, alle farine. Molino Filippini è specializzato nel gluten free, con risultati oggettivamente di grande valore. Oggi ho deciso di raccontarvi di questa realtà, in quanto le loro farine, chicchi e paste, mi hanno piacevolmente colpita. Molino Filippini è a Teglio, nel cuore della Valtellina, per inciso nella patria dei pizzoccheri, una valle ricca di biodiversità, in mezzo alle montagne e all’aria pura. E’ un’azienda che abbraccia la cultura gastronomica che caratterizza questi luoghi ma non solo, fanno ricerca sugli ingredienti migliori per creare piatti unici e sani. Non solo grano saraceno, ma anche mais, quinoa, miglio, riso, amaranto e molti altri cereali Gluten Free. La produzione è biologica da oltre 30 anni, dimostrazione di coerenza e serietà.
Ho pensato di proporvi la mia ricetta dei pizzoccheri, quella tradizionale. Io seguo quella dell’Accademia del pizzocchero di Teglio. Un piatto unico che con i primi freddi, riempia di gioia non solo lo stomaco.
dosi x 4 persone
1 confezione da 500 g di pizzoccheri
200 g di burro;
250 g di formaggio Valtellina Casera DOP;
150 g di formaggio grana padano grattugiato;
200 g di verze;
250 g di patate;
uno spicchio di aglio;
pepe
Mondate e lavate le verdure. Mettete sul fuoco una grande pentola con abbondante acqua salata, portate ad ebollizione poi versatevi le verze a striscioline e le patate a tocchetti, unite i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini).
Dopo una decina di minuti raccogliete i pizzoccheri con la schiumarola e versatene una parte in una teglia ben calda, unta di burro, cospargete con formaggio grana grattugiato e Valtellina Casera DOP a scaglie, dopodichè proseguite alternando pizzoccheri e formaggio.
Fate soffriggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri. Senza mescolare, servire i pizzoccheri bollenti con una macinata di pepe.
I pizzocheri non sono assolutamente un piatto leggero o dietetico, ma ogni tanto, dobbiamo abbandonare le diete e i pasti ipocalorici, a favore della tradizione e delle ricette che sono imperdibili. Se non amate particolarmente la verza, potete sostituirla con le coste, o erbette, o ancora spinaci. Debbo avvertirvi però, che la verza ci sta davvero benissimo!
I merito al formaggio, se volete dare una sferzata di sapore, potete utilizzare 150 g di Casera e 100g di Bitto, formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.
Rubo dall’Accademia del pizzocchero qualche riga sulla storia di questo piatto meraviglioso:
L’origine del piatto dei pizzoccheri non è testimoniata da una data o un evento precisi, ma da una serie di riferimenti culinari riportati da H.L. Lehmann, nella seconda parte della sua opera Die Republik Graubündeni, riguardante l’area dei Grigioni di cui la Valtellina in quell’epoca era parte. L’autore cita i “Perzockel” come una sorta di tagliatelle fatte di saraceno e di due uova. La pasta veniva cotta nell’acqua, poi si aggiungeva il burro e si spargeva subito il formaggio grattato. Nelle case contadine, e nei maggenghi, era più usuale produrre gnocchi con gli stessi ingredienti invece delle tagliatelle, poiché spesso non si disponeva di un tavolo dove fare la sfoglia. Per questo, l’impasto degli gnocchi rappresentava un modo per superare tale difficoltà. Nel Prodromo della flora valtellinese (1834) Giuseppe Filippo Massara cataloga tra le piante rinvenute nel corso di varie escursioni botaniche in provincia di Sondrio il fagopiro, meglio noto come grano saraceno, e afferma che: “Colla stessa farina si fanno più altre ragioni di vivande, siccome “gnocchi” e “tagliatelli”, chiamati sì gli uni che gli altri pizzoccheri”.
Dai primi dell’Ottocento sulle tavole dei contadini più benestanti appare il piatto più simile a quello attualmente conosciuto: si lavoravano delle tagliatelle grossolane di grano saraceno con in parte della farina bianca in proporzioni variabili a seconda dei paesi, cotte in abbondante acqua salata, in cui erano poste patate, verze o coste o fagiolini a pezzi. I pizzoccheri venivano poi scolati con il mestolo bucato (cazafuràda) e posti in una biella con strati di due tipi di formaggio a scaglie: uno più magro chiamato “féta”ed un semigrasso più stagionato. Il tutto veniva condito con una sferzata di strutto ben scuro accompagnato da aglio. In alcune zone anziché l’aglio si usava e si usa tuttora cipolla e salvia. Nella seconda metà dell’’800 un medico provinciale, Ludovico Balardini, osserva come in Valtellina: “vi si fa grand’uso di farinacei e di certe paste grossolane che si cospergono con butirro (burro) e formaggio a guisa di tagliatelli, dette Pizzoccheri, delle quali vanno assai ghiotti i Sondriesi”.
Le notizie più precise relative ai Pizzoccheri di Teglio le riscontriamo, verso la fine dell’Ottocento, con il medico condotto Bartolommeo Besta, tellino, il quale ci informa che i piatti a base di grano saraceno “riescono il cibo di magro preferito dal devoto benestante, e la pietanza di pranzo d’invito del contadino. Queste vivande grossolane consistono in tagliatelli, detti pizzoccheri, bolliti nell’acqua e poi conditi asciutti con buona dose di cacio e di burro; od in polenta pure rimestata con fette di cacio dolce e butirro, che vien chiamata taragna; od in una specie di chicche, per le quali uno straterello di cacio dolce, rivestito da una poltiglia di farina nera, viene fritta nel burro e forma una specie di tortello. Non poche famiglie vanno ghiotte di questi tradizionali manicaretti”. La descrizione della colazione tipo (abbondante quale pasto principale della giornata) e della cena tipo del contadino valtellinese ci consente anche di comprendere come i “pizzoccheri” della festa, più simili a quelli che conosciamo oggi, fossero ben diversi da quella minestra che costituiva la cena ordinaria del contadino in cui qualche tagliatella e qualche verdura “navigavano in una poca densa brodaglia”.
Vi lascio ai fornelli e ai prodotti di Molino Filippini.
Buon appetito!
che meraviglia! intramontabile meraviglia!
Eh cara Elena, hai detto bene. intramontabile!
I grandi classici, restano sempre con noi e ci portano grande conforto :)
Grazie per esserti fermata! Un abbraccio.
B